Credo che il più grande dei mali del mondo sia – mh, no, aspetta, ricomincio.
Ci sono tanti mali nel mondo. E non mi riferisco solo a quelli che raccontano al telegiornale o alle Iene, che quelli sono sulla bocca di tutti. Ognuno, nel suo piccolo, ha i suoi drammi, le sue problematiche, le sue paure e i suoi casini da risolvere. E ognuno, nel suo piccolo, ha i suoi mali del mondo. Nascosti, riposti nella tasca interna della giacca, quella che non si vede da fuori ma si sente, batte, preme lì e ti appesantisce. Non ci si prende una pausa, dai propri mali del mondo. Ma si impara a conviverci, a riderci sopra, a lasciarli un po’ di tempo senza suoneria.
Fra i miei mali del mondo, l’ho capito da poco, c’è anche la retorica. E non quella che ti insegnano a scuola, di Cicerone, quella del bel parlare e di tutto il resto. Quei banali (e anche un po’ falsi) giri di parole volutamente profondi, che vogliono esprimere per forza un concetto prepotente, perfino strappalacrime.
Non c’è niente che mi faccia più incazzare della retorica. Dico davvero. Odio scrivere i biglietti d’auguri o d’amore, perché ci si aspetta sempre che il messaggio sia alto, grande, importante. Tu sai curare le ferite del cuore, sai volare al centro della mia anima e tutte queste baggianate che non scrive più neanche Sveva Casati Modignani. Odio la banalità, odio le cose preconfezionate e la parola anima e la parola cuore.
Non scrivete al vostro fidanzato che è la vostra metà della mela. Ditegli che è lo zampirone quando è agosto e sei assediato dalle zanzare. Che è quella camicia che è costata poco e che non ha bisogno di essere stirata. Che è un piatto di vellutata di carote proprio quando, quell’unico giorno all’anno (o nella vita), hai voglia di vellutata di carote.
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